martedì 30 gennaio 2018

Frustrazioni

Domenica mattina una donna in maternita’ aveva un travaglio un po’ prolungato, ma era quasi completamente dilatata ed abbiamo deciso di aiutarla con un po’ di ossitocina.
Ha partorito dopo un’oretta appena ma il bimbo era in condizioni pessime.
Ha inalato meconio ed ha avuto bisogno di rianimazione.
E’ ancora vivo ma le sue condizioni non sono affatto buone.
Chissa’ se ce la fara?
Avessimo fatto il cesareo il bambino starebbe meglio? E’ stato uno sbaglio tentare con l’ossitocina?
Oggi invece abbiamo avuto un caso diametralmente opposto.
Le infermiere di sala parto ci segnalano un distress fetale.
Caso vuole, l’intervento che stavamo facendo era finito esattamente in quel momento.
Entriamo quindi in sala per il cesareo d’urgenza in tempi brevissimi; l’operazione procede veloce ed il bambino nasce in mendo di due minuti dall’incisione della cute.
Pero’ non piange e neppure respira: ha solo attivita’ cardiaca.


Lo intubiamo, lo rianimiamo, lo ventiliamo… e lo manteniamo in vita per poco piu’ di 4 ore, e poi anche lui se ne vain paradiso.
Avremmo dovuto fare il cesareo prima? Forse siamo arrivati in ritardo!
Ma le infermiere non se ne sono accorte prima del distress fetale.
Appena avvisati, noi siamo intervenuti subito.
Ovviamente si puo’ ridire sul fattto che a Chaaria non c’e’ il cardiotocografo e che quindi le nostre infermiere non seguono bene i travagli.
Ma Chaaria e’ quello che e’. Facciamo molte cose, e ne mancano tante alter.
E poi, come dicevo gia’ nel post di ieri, tantissime cose sono al di fuori del nostro controllo. Ci piovono sulla testa, ci fanno sentire inadeguati, ma non sappiamo esattamente come avremmo potuto agire diversamente nel contest in cui ci troviamo ad operare.
Ovviamente, con il senno di poi tutti hanno delle soluzioni, ma nella pratica di tutti I giorni e’ assolutamente difficile fare sempre la scelta giusta.

Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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