sabato 5 maggio 2018

Un luogo comune dalle nostre parti

Forse a motivo di tante espereinza passate in cui la sanità era certamente peggiore che al giorno d’oggi anche in Kenya, molte donne della nostra zona hanno la certezza che non bisogna farsi operare di cancro al seno perchè si muore certamente nel post-operatorio.
Forse hanno visto tante vicine di casa, amiche e conoscenti andare a finire sotto terra dopo la mastectomia!
Questo preconcetto fa sì che sia molto difficile aiutare le donne con questo problema.
Prima di tutto esse vengono molto in ritardo: vediamo tanti tumori al seno in fasi davvero avanzate e qualche volta completamente inoperabili. Spesso poi non è neppure colpa loro se cercano aiuto quando è troppo tardi: è il caso per esempio della giovane donna di 34 anni che abbiamo perso poco tempo fa. Era venuta a Chaaria quando entrambi i seni erano duri come pietre (una metastatizzazione alla mammella controlaterale), quando il braccio sinistro era enorme e indurito da un edema linfatico impressionante e quando c’era versamento pleurico bilaterale. 
Nel so caso essa aveva cercato aiuto molto presto in quanto aveva visto un eczema al capezzolo sinistro, ma al dispensario a cui si era rivolta continuavano a darle della pomata cortisonica da applicare, ed a nessuno era venuto in mente che potesse trattarsi di un tumore (morbo di Paget)... e così la povera donna ha perso un anno ed è arrivata in ospedale troppo tardi.


Oggi abbiamo fatto la mastectomia per un tumore avanzatissimo ed ulcerato in donna di 37 anni : abbiamo tentato del nostro meglio ed abbiamo anche fatto lo svuotamento del cavo ascellare. Non sappiamo se siamo stati radicali. Faremo eco addome e lastra del torace, anche se ci aspettiamo la solita risposta nel momento in cui riceveremo l’istologico e vedremo i linfonodi “presi”; sicuramente la malata ci dirà che non ha soldi per la chemioterapia!
Ieri abbiamo visto alre due giovani donne nella sua stessa condizione: una aveva una massa enorme, già adesa alla cuta che mostrava aspetto a buccia d’arancia; l’altra aveva una forma meno avanzata e forse aggredibile in modo radicale. Etrambe hanno nicchiato sia all’idea dell’agobiopsia dia a quella della mastectomia. Hanno avanzato varie scuse e mi hanno detto che sarebbero venute oggi per la biopsia; non ho però visto nè l’una nè l’altra.
E’ una situazione molto frequente: anche se dici loro che faremo l’intervento gratuitamente e che ci sarà un donatore che provvede alle spese dell’istologico, le malate spariscono... era successo anche quando Pietro e Giorgia erano qua.
Io credo che sia ancora quel vecchio luogo comune che fa pensare alle donne che moriranno se verranno operate al seno. Il triste è che questa diceria fa sì che poi queste giovani madri muoiano davvero e lascino a casa delle proli ancora in tenera età. Non so se la nostra chirurgia (spesso non seguita da radio o chemioterapia a motivo di problematiche finanziarie) avrebbe davvero potuto aiutarle a sopravvivere più a lungo. Certo che, non facendosi operare, le pazienti si condannano ad una sopravvivenza di pochi mesi ed in condizioni spesso disastrose: pensate per esempio ad un tumore maligno ulcerato e pieno di larve di mosca.
E’ comunque molto difficile cambiare tale mentalità e tali paure che vengono trasmesse di madre in figlia.

Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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