venerdì 4 maggio 2018

La sfortuna ci vede benissimo..

Ieri le piogge ci avevano dato una giornata di tregua ed abbiamo iniziato a sperare che la disastrosa stagione delle piogge di quest’anno fosse ormai al termine.
Alle 19,30 pero’, quasi all’improvviso si e’ rimesso a piovere, dapprima solo leggermente e poi sempre piu’ decisamente.
Eravamo a cena alle 20 quando e’ arrivata la chiamata da Kaongo (14 chilometri di strada pessima da Chaaria) per andare a prendere una donna in travaglio che aveva un distress fetale.
Nel momento stesso in cui Giancarlo partiva si e’ messo a diluviare.
Non solo gocce, ma muri di acqua dal cielo. Le strade si sono rapidamente trasformate in torrenti melmosi ed infidi.
La nostra ambulanza e’ molto forte e con le quattro ruote motrici sarebbe arrivato senza grossi problemi…ma a cinquecento metri dalla maternita’ rurale che ci aveva mobilitati un camion impantanato chiudeva completamente la strada.
In quella struttura non avevano ambulanza, e la donna non poteva ambulare a causa delle contrazioni.
Giancarlo ha dovuto aspettare fin quasi alle 23, quando i parenti della donna l’hanno portata fino all’ambulanza con una barella improvvisata che essi sostenevano in quattro sotto una pioggia battente.
Il ritorno a Chaaria e’ stato altrettanto difficile per Giancarlo a causa della strada impraticabile.
Fatto sta che poi io il cesareo l’ho finito che era passata mezzanotte da un bel po’…ed ovviamente mancava la luce.


Ora sono le 22 e mi sento stanchissimo. Vorrei spegnere il generatore ed andare a letto, ma ovviamente la sfortuna che ci vede benissimo ha voluto che proprio in questo momento arrivasse da fuori una donna con travaglio complicato.
E cosi’anche oggi niente nanna: si ritorna in sala.

Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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