mercoledì 2 maggio 2018

International labour day

Quando e’ festa, per noi e’ sempre peggio degli altri giorni.
Bisogna dare i dovuti riposi ai nostri collaboratori, e alla fin fine il lavoro e’ molto piu’ pesante che in un giorno feriale qualsiasi.
E’ successo anche ieri: le piogge stanno rallentando molto, e alle 6 di mattina gia’ il sole faceva capolino. La sala d’attesa era piena dalle ore 9.
Molti dei clinical officers erano a riposo, cosi’ come molti altri infermieri e membri dello staff.
Ci rendiamo conto che oggi bisognerà correre.
Mi occupo della coda che oggi prevedo quasi infinita.
Pazienza: ci vuole solo calma e sangue freddo. Uno dopo l’altro finiremo anche tutti questi malati che hanno deciso di venire in giorno festivo, con la “chimera” che durante le “public holidays” ci sia meno gente.
Mentre faccio del mio meglio per assistere per primi i pazienti provenienti dal Nord, a motivo del fatto che vengono da molto lontano, il ritmo delle visite viene interrotto da due tagli cesarei d’emergenza. Jesse è a riposo, per cui mi tocca fare anche l’anestesia. 
Abbiamo qualche problema perché una delle due mamme ha un arresto respiratorio transitorio, che fortunatamente si risolve per il meglio.
Anche oggi non è mancato lo psichiatrico che mi ha preso per un braccio ed è riuscito a lasciarmi i segni delle unghie prima che il watchman entrasse di corsa a darmi una mano.
Siamo anche andati a prendere un barbone che dal mattino giaceva per terra a Chaaria Market, finchè qualche persona di buon cuore ha pensato di avvisarci: lo abbiamo ricoverato, dopo averlo lavato, sbarbato e ripulito dalle pulci penetranti. 


Sembra che abbia una malaria cerebrale. Quando l’ho veduto in reparto con la flebo di chinino in vena, tra me ho pensato: “Un bel dono del Cottolengo”.
Adesso comunque ho finito l’ultimo paziente. Osservo l’ambulatorio, ora così silenzioso e vuoto; poi giro lo sguardo all’orologio e mi rendo conto che riesco ad andare in cappella per la preghiera con la comunità. Trascino i piedi ed ho la lingua impastata a motivo dello sforzo continuo di parlare in Kimeru o Kiswahili durante l’ambulatorio, ma offro tutto al Signore.
Oggi poi è San Giuseppe, ed è la festa dei lavoratori.
Don Tortalla mi ha incontrato in refettorio alle 3 del pomeriggio mentre mangiavo velocemente qualcosa di pranzo.
Mi ha detto “buona festa”.
Pensando che si riferisse a San Giuseppe, gli ho risposto che io festeggio il 19 marzo.
Lui pero’ ha aggiunto: “buona festa dei lavoratori”
Gli ho quindi risposto: “si’, si’, in quanto ad essere un lavoratore, penso propio che oggi sia anche la mia festa”.
Ritengo che io abbia vissuto la giornata del primo maggio nel modo migliore, in unità spirituale con tanta gente sfruttata e stremata da condizioni di lavoro che in molte parti del mondo non sono certo così rosee come in Europa.
Prego per tutti coloro che hanno la schiena spezzata e che per tanti sforzi magari ricevono uno stipendio da fame.
Sono felice davanti a Dio di essere uno di loro.

Fr Beppe Gaido


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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