mercoledì 4 aprile 2018

Una stanchezza che non è solo fisica

Credo che a volte la stanchezza che mi sento addosso sia piu’ esistenziale che biologica.
Ieri notte per esempio ho dormito e non ci sono state emergenze notturne, ma stamattina alle 6 alzarsi e’ stata una lotta immane.
Ho aperto gli occhi con una fatica indicibile ed e’ come se il corpo non volesse rispondere al comando della mente, che indicava che era tempo di levarsi dal letto.
Quando mi sento cosi’, mi rimane un cerchio alla testa per molte ore, mi sento gli occhi gonfi, e mi trascino fin quasi alle 11 di mattina: vado a pregare, faccio colazione, inizio tutti i lavori in ospedale, ma sono un po’ uno zombi.
Purtroppo anche il mio umore non e’ dei migliori in un giorno come quello.
Poi, verso fine mattinata, qualcosa inizia a cambiare nel mio metabolismo e mi sento meglio: sono quindi in grado di lavorare ininterrottamente (e spesso con una pausa pranzo di cinque minuti soltanto) fino a sera tardissimo.
E’ come se, nei giorni di “bassa” psico-fisica, io carburassi a diesel. Mi ci vuole del tempo per scaldare il motore e farlo girare a pieno ritmo, anche se poi tengo bene per moltissime ore.
Qualcuno mi dice che si tratta di depressione!
Io non lo so se sono depresso. Onestamente non mi sento tale, anche se ci sono dei momenti a Chaaria in cui rasenti la disperazione, quando tutto sembra crollarti addosso.
Poi basta un raggio di luce nella mia giornata e la speranza ritorna a fiorire, mentre il cuore si rinvigorisce nuovamente.


Forse e’ il ritmo di lavoro continuativo, che logora non solo le membra , ma anche la mente: certamente e’ durissima essere sotto torchio da domenica a domenica ed andare a letto senza aver mai la certezza di non essere chiamato.
Sicuramente il peso che mi sento sugli occhi e sul cuore in parte deriva anche dalle responsabilita’ e dalle continue tensioni. Un paziente muore dopo l’intervento: avro’ fatto tutto giusto? E’ stato giusto intervenire?
Un altro malato e’ cosi’ grave che decido di non operare, ma poi lui muore. E se avessi tentato di agire?
Altre volte e’ il senso di solitudine e di abbandono; il non sapere dove chiedere aiuto in situazioni che ti stanno soverchiando.
Eppure ho sempre sperimentato che la Provvidenza alla fine arriva immancabilmente, e ti lancia un salvagente appena prima che tu anneghi. 
Un mio confessore un giorno mi diceva che la Provvidenza ti lascia prima arrivare allo stremo, ti lascia toccare il fondo, ma poi aiuta e ti soccorre.
Questa e’ davvero la mia esperienza quotidiana: posso anche arrivare al momento in cui mi sento disperato, in cui mi pare che tutto crolli e non ci siano piu’ speranze, ma poi qualcosa succede, un raggio di sole appare e con esso quel briciolo di speranza che ti riscalda il cuore e ti ridona forza per andare avanti.
Ogni volta che arrivo sull’orlo del precipizio e poi avverto l’aiuto di Dio che mi tende la mano, mi sento il cuore pieno di commozione: mi viene allora una gran voglia di impegnarmi ancora di piu’, di servire i malati con maggior dedizione, proprio per dire al Signore che gli sono molto riconoscente.
Oggi e’ una giornata cosi’: con un sorriso mi viene da pensare che sono un po’ come i “Blues Brothers”, quando nel film “hanno visto la luce”.
Sento in me che non sono solo, che il Signore ha aspettato fino al momento in cui le mie batterie fossero completamente scariche, ma poi e’ intervenuto: ho in cuore una gran voglia di lavorare e di donarmi.
Il mio fisico purtroppo oggi non mi segue tanto: mi sento un rottame; trascino i piedi e lavoro con le marce ridotte.
Forse e’ la tensione che sta mollando e mi lascia prostrato.
Faro’ quello che posso ed al ritmo che le mie forze mi concederanno, ma quel raggio di sole che oggi ho visto mi sta scaldando il cuore.

Fr Beppe

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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