martedì 6 febbraio 2018

Più difficile per i pazienti raggiungere Chaaria

Da sempre Chaaria e’ difficile da raggiungere a causa delle strade sconnesse e difficili.
Da circa un anno pero’ il percorso di sterrato si era ridotto a quattro chilometri, in quanto il governo ha asfaltato la strada che, passando da Giaki, si dirige verso il Tharaka.
Oltre al fatto che i pochi chilometri che ci separavano dall’asfalto erano davvero terribili, il nostro dramma rimaneva comunque il ponte di Giaki e la salita che si incontrava subito dopo di esso.
Nella stagione delle piogge era regola fissa trovarci un camion impantanato ed incapace di salire, oppure messo per traverso mentre tentava la discesa.
E’ capitato anche a me di tornare da Meru, dove ero andato per la formazione ECM, e di dover lasciare la macchina a Giaki di sera tardi,per coprire a piedi gli ultimi quattro chilometri, in quanto la discesa verso il ponte era piena di veicoli “piantati” nel fango viscido.
Da tempo quel ponticello sembrava fragile… ma ovviamente non c’erano alternative e ci si passava sopra senza pensarci troppo.
Tre settimane fa pero’ e’ successo il disastro…fortunatamente senza vittime.
Un camion carico di pietre ci era appena passato, e, subito dopo, il conducente ha udito un boato.


Ha fermato l’automezzo, e quasi quasi gli veniva un infarto al vedere che il ponte dietro di lui non c’era piu’…l’aveva scampata per una manciata di secondi.
Oltre 21 giorni sono passati dal crollo, ma non ci sono segnali che la riparazione sia prossima ad iniziare.
Per noi e per i pazienti si tratta quindi di seguire la Mati Road,dove ancora ci sono lunghi tratti senza asfalto.
Ora piu’ o meno la voce e’ girata, ma all’inizio molta gente arrivava inconsapevolmente fino a Giaki (4 chilometri dall’ospedale) e poi doveva ritornare indietro fino a Meru, per poi ridiscendere a Chaaria dall’altra strada (in tutto quasi 40 chilometri).
Quella delle foto e’ la situazione attuale, uguale a quella del giorno del crollo.

Fr Beppe



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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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