sabato 15 luglio 2017

Una diagnosi clinica

Erick ha otto anni e arriva in una giornata complicatissima e caotica.
Me lo presentano tra un intervento e l’altro, ed io non ho affatto il tempo di fare un’eco. Sembra che abbia un’ernia inguinale sinistra strozzzata.
Mi colpisce la febbre altissima, la dolenzia incredibile sulla sospetta tumefazione erniaria irriducibile.
Per contro mi sconcerta il fatto che l’addome non ha segni di peritonismo.
La mamma insiste sul fatto che da un giorno il figlio non va di corpo, ma la cosa non mi pare molto significativa.
Il bambino non vomita.
Lamenta invece un forte mal di schiena, soprattutto in loggia renale sinistra.
L’emocromo pare indicare una peritonite: i globuli bianchi sono 22.000.
L’altro aspetto che attira la mia attenzione e’ la retrazione antalgica della gamba sinistra. lI paziente non la puo’ estendere l’arto completamente, e, se ci provo io, gli causo urla lancinanti di dolore.
La mamma non aveva mai notato alcuna ernia in passato…e la cosa mi pare dubbia.
Il quadro clinico mi sembra quindi suggerire qualcosa di diverso.


Apro la porta erniaria con circospezione, ma sotto la fascia vedo fuoriuscire una grande quantita’ di pus.
Aspiriamo e temiamo per un momento che sia un’ansa intestinale necrotica.
Che sia davvero un’ernia strozzata?
Ma poi ci accorgiamo che il pus proviene da una colata extraperitoneale che risale fino alla loggia renale.
Si trattava di un ascesso del muscolo ileopsoas.
Lo abbiamo drenato, ed ora continuiamo a medicarlo, ma il piccolo paziente sta migliorando a vista d’occhio.
Una diagnosi fortunate ed un paziente che presto sara’ dimesso.

Fr Beppe

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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