sabato 13 maggio 2017

Il funerale della mamma di Mururu

E' stato celebrato ieri, nel suo villaggio di Kaguma (a quattro chilometri da Chaaria).
La salma era nel nostro obitorio ed è stata prelevata dai familiari a fine mattina.
Mururu (che era qui in missione con noi) ha voluto andare al funerale nella macchina del nostro parroco, suo carissimo amico.
Fr Robert, Sr Joan, Sr Evanjeline ed un buon gruppo di "Buoni Figli" sono invece andati alle esequie con la nostra auto, per esprimere vicinanza e condoglianze a Mururu.
Il funerale è stato celebrato secondo il rito della Chiesa Pentecostale, a cui la mamma apparteneva. Non c'era molta gente, se non alcuni vicini del villaggio. E' stata una cerimonia lunga, come capita di solito da queste parti.
Dopo il funerale Mururu ha voluto rimanere a casa dalla sorella per alcuni giorni, e naturalmente non abbiamo avuto motivo di impedirglielo.
La sua mamma era vecchissima, forse vicina ai cent'anni.
Suo padre è morto da più di dieci anni.
D'altra parte, anche se a noi sembra sempre un bambino, Mururu è ormai abbastanza anziano lui stesso: dovrebbe avere circa 65 anni.
E' l'ultimogenito di una grande famiglia di 9 figli.
Molti dei suoi fratelli sono già morti, e la sorella che a volte lo prende a casa a Kaguma è più vecchia di lui.
Qualcuno dei lettori mi chiedeva che cosa ne sarà di Mururu adesso.


Onestamente, a parte il dolore interiore ed il dramma psicologico che a volte è ancora più forte per un debole mentale, per Mururu non cambierà nulla con la morte della madre: lui continuerà a vivere nella grande famiglia dei Buoni Figli a Chaaria, dove è stato accolto ormai da quasi 40 anni.
Onestamente, pure in passato, la sua famiglia non ci ha mai aiutato economicamente per prenderci cura di lui, per cui anche d'ora in avanti Mururu continuerà ad essere un figlio della Divina Provvidenza come al solito.
Conoscendolo un po', sono quasi sicuro che tornerà da noi domani o lunedì al massimo.
Grazie a tutti coloro che hanno pregato per lui e per la sua mamma.

Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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