sabato 1 aprile 2017

Il vortice Chaaria

Sono le 19.30 e riesco stranamente ad essere puntuale per la preghiera.

Iniziamo il rosario ed io guido il secondo mistero, sempre lottando per rimanere sveglio.
Quando arrivo alla preghiera del gloria, vedo però che il mio telefonino, in modalità silenziosa, si illumina perchè c’è una chiamata in arrivo.
Mi alzo dal banco ed esco silenziosamente dalla cappella, mentre Fr Robert inizia il terzo mistero.
Devo correre in ospedale perchè una paziente ha sviluppato una complicazione.
Mi precipito, dimenticando di avere ancora la corona del rosario in mano.
Arrivo in reparto solo per constatare il decesso: prendo il fonendo a cerco inutilmente segni di vita, sempre con la corona inconsciamente nella mano destra.
Ero passato poco prima di andare in cappella, e le condizioni parevano stabili.
Ero andato a pregare portandomi anche quella paziente nel cuore: ero quasi certo che stesse migliorando!
Mai più avrei pensato di trovarla morta pochi minuti più tardi.
Nascono in me i soliti sensi di colpa, la sensazione acuta dei limiti strutturali del nostro ospedale che non riesce ad offrire un’assistenza all’altezza di quella che invece i pazienti trovano in Europa, la paura di aver sbagliato, il timore della reazione di parenti.


Sì! Chaaria è migliorata molto rispetto al passato, ma i limiti ci sono ancora, ed oggi ne abbiamo fatto esperienza nuovamente!
Sono minuti bui, in cui guardo il cadavere e come un automa aiuto l’infermiere della notte a comporre la salma per l’obitorio; sto precipitando rapidamente nella depressione e nei sensi di colpa.
A salvarmi arriva una voce dalla sala parto: abbiamo bisogno di te per due ventose ostetriche; le mamme non riescono più a spingere perchè sono esauste ed il battito fetale sta peggiorando.
Lascio il mio infermiere in compagnia di un volontario, che è venuto provvidenzialmente ad aiutarci proprio in questo momento, e mi precipito in maternità.
Lascio una morta e spero di dare qualche nuova vita!
Uno dopo l’altro, aiuto due pargoletti a venire alla luce: entrambi piangono forte e stanno bene. Pure le mamme singhiozzano, ma di contentezza.
Mentre l’assisto nella fase di espulsione, una delle partorienti mi dice disperata: ora muoio e lascio i miei bambini orfani. Quasi inconsciamente la sgrido dolcemente, invitandola a non citare la morte in un momento in cui lei e tutti noi stiamo lottando per la vita. Le metto il suo maschietto sulla pancia e le dico: non lo lasci orfano; hai visto?
Lei piange ancora, ma insieme sorride e non la smette più di dire grazie.
La sala parto si riempie di vagiti ed il clima è ora quasi elettrico ed entusiasta.
Esco con un grande mattone sullo stomaco; a pochi metri di distanza, vedo in reparto gli infermieri che ancora stanno vestendo la morta.
Che vortice incredibile è sempre Chaaria!
Nel giro di 30 minuti passi dalla speranza alla disperazione per una malata che credevi ce l’avesse quasi fatta; nello stesso arco di tempo salti come un grillo dalla seconda decina del rosario, alla constatazione di un decesso, alla ventosa ostetrica che dà la vita a 2 nuove creature.
Poi arriva il messaggio della dottoressa Makandi, devastata come me dalla notizia della morta.
Mi scrive semplicemente: ricordati che noi medici curiamo, ma è Dio che guarisce. Lui ti conosce.
Chissà se riusciro a dormire stanotte!

Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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