giovedì 23 marzo 2017

Che forza questa mamma!

E' stata ricoverata dopo le 19 in distress respiratorio severo.
Linet è una bambina di circa un anno, in condizioni di nutrizione e di idratazione apparentemente normali.
Il peso corporeo è di 10 chilogrammi, e non appare disidratata.
All'ingresso, il respiro era davvero pessimo, quasi un "gasping": l'auscultazione polmonare un disastro, tanto da farci pensare ad una ARDS (sindrome da distress respiratorio acuto). Non c'era febbre, ma la piccola aveva comunque delle convulsioni parziali alla bocca.
Ci è sembrata incosciente sin dal primo momento.
La mamma arrivava da un altro ospedale ed aveva con sè una lastra del torace, molto difficile da inquadrare con chiarezza, ma comunque abbastanza suggestiva di polmonite atipica o di tubercolosi.
La saturazione di ossigeno della bimba era bassissima, a circa 65%.
Abbiamo prima di tutto cercato un accesso venoso, che la bravura delle nostre infermiere ha trovato sullo scalpo: con questa via abbiamo somministrato immediatamente del diuretico.
Poi, a motivo della lastra del torace, abbiamo preferito iniziare subito la terapia antitubercolare, assieme a Rocephin e ad un macrolide (per essere sicuri di colpire anche i batteri intracellulari responsabili delle polmoniti atipiche): abbiamo sparato il più largo possibile.
Per le convulsioni abbiamo instaurato la terapia con il phenobarbitone, mentre abbiamo incominciato la terapia con chinino endovena anche prima di avere il risultato della malaria.
Naturalmente Linet è stata sotto ossigenoterapia dal primissimo momento.


L'abbiamo seguita attimo per attimo: non era ipoglicemica e non era anemica.
Aveva risposto al lasix con una buona dose di urina nel pannolino... ma stavolta purtroppo il chinino e le altre medicine non hanno fatto il miracolo.
Alle ore 23 Linet ha dato due respironi più profondi sotto lo sguardo mio e della mamma; si è irrigidita per una frazione di secondo, e poi è volata in Paradiso.
La madre è stata stoica, come capita moltissime volte dalle nostre parti.
E' stata in piedi, rigida cone un albero; non ha pianto, ed ha continuato a ripetermi: "sto bene... sto bene".
Io cercavo di consolarla... e lei diceva a me di non preoccuparmi.
Io provavo a giustificarmi ed a dirle che avevo tentato di fare del mio meglio... e lei mi rispondeva che lo sapeva e che mi era grata.
Mai potrò eguagliare la forza di queste mamme africane!
Linet è ora tra le mie braccia, mentre la porto verso l'obitorio.
Il mio cuore è tristissimo, anche se mi stringo nelle spalle e confesso a me stesso che non avrei proprio saputo cos'altro fare per lei.
Non so neppure con precisione che cosa se la sia portata via... probabilmente una polmonite atipica da chissà quale batterio strano, o magari la solita TBC che da noi imperversa, o forse ancora la malaria che rimane il nostro killer numero uno.
Non lo so.
Quello che so è che Linet è la seconda bambina che muore oggi nel nostro ospedale: l'altra non ha neppure potuto vedere la luce, perchè dall'eco sapevamo già che si trattava di una morte endouterina (da malaria? E chi lo può sapere! Faremo indagini sulla mamma).
La vita e la morte si rincorrono continuamente a Chaaria, dove tanti vengono salvati, ma dove non riusciamo a darci pace quando la morte ha il sopravvento... soprattutto se si tratta di un bimbo piccolo ed innocente.

Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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