lunedì 6 febbraio 2017

Inimicizia atavica

Sento un urlo acuto che proviene dal corridoio davanti alla cappella.
E’ la voce di Rossella che sembra particolarmente agitata. Prima che io mi muova da tavola, la maggior parte dei Fratelli ha gia’ fatto capannello attorno alla volontaria che, con occhi pieni di terrore osserva nella direzione del cancello.
Poco distante scorgo un grosso serpentone nero, attorcigliato su se stesso e probabilmente assopito.
In Kenya c’e’ la credenza che, se uno si stringe l’avambraccio destro con la mano sinistra e si mette a distanza un po’ ravvicinata dal serpente, quest’ultimo non puo’ piu’ muoversi.
Personalmente ritengo che questa non sia altro che una delle tante superstizioni di cui ho sentito parlare non solo in Africa ma anche in Italia... ma non importa. Dico al mio confratello di continuare con quell’incantesimo mentre io vado a cercare una scopa.
Non so se si e’ trattato di magia o di casualita’, ma in effetti ho trovato il rettile nella stessa posizione quando sono tornato con la mia “arma letale”.
Per uccidere un serpente velenoso, con notevole velocita’ di movimento quale e’ il mamba nero che mi sta davanti, e’ oportuno prima di tutto cercare la posizione migliore. 


Bisogna stargli di spalle ed evitare accuratamente di venire a trovarti in vicinanza della testa. Poi ci
vuole un po’ di sangue freddo.
La cosa migliore e’ di assestare un colpo secco sul cranio o sul collo del rettile, in modo da tramortirlo o da spezzargli la colonna vertebrale. In tal modo la bestia non potra’ girarsi verso di te.
Questo primo colpo e’ il piu’ importante, sopratutto se cerchi di uccidere un cobra. Infatti, se lo manchi, il serpente prima di tutto ti sputera’ negli occhi un veleno non mortale ma dolorosissimo e pericoloso per la tua vista.
Nel caso del mio mamba devo ammettere che, avendo un po’ di tremarella, manco due volte il bersaglio, prima di raggiungerlo con il colpo mortale sulla scatola cranica. Quando ho colpito senza centrarlo, si e’ verificato un fuggi-fuggi generale, che mi ha lasciato solo di fronte alla bestia che mi si dirigeva contro... ma poi tutto e’ finito ed abbiamo buttato l’animale nell’inceneritore.
Scene come questa non sono molto frequenti a Chaaria, anche se devo ammettere che non sono neppure del tutto eccezionali, soprattutto in stagioni molto ricche di precipitazioni come quella che stiamo vivendo.
Ci e’ gia’ successo di ammazzare un rettile in cappella; di trovarne un altro arrotolato nel sacco dello zucchero; di ucciderne un terzo che era abbarbicato alle inferriate di una finestra della casa-suore.
Anche in ospedale a volte un serpente va a farsi una passeggiata in un reparto e le mamme ricoverate afferrano i propri bambini; si mettono in piedi sul letto e cominciano ad urlare.
In genere usiamo sempre la stessa tecnica per ucciderli.
Nelle ultime due settimane a Chaaria ho ricoverato due pazienti con morso di serpente; un uomo ed una donna: lui e’ sopravvissuto mentre lei non ce l’ha fatta, ed e’ morta in pochissime ore tra acute sofferenze.
I due tipi di serpente piu’ frequentemente incriminati a Chaaria sono il mamba nero ed il cobra (puff adder o spitting cobra). Ma ho sicuramente incontrato anche un mamba verde.
Il livello di velenosita’ differisce, essendo il “nero” relativamente meno pericoloso, ed il “verde” estremamente letale. Il cobra ha una pericolosita’ intermedia, ma puo’ causare danni permanenti agli occhi.

Fr Beppe

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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