martedì 17 gennaio 2017

La ciliegina sulla torta

Arrivi a sera e sei così stanco che non riesci più neppure a parlare.
Se ti presentano un caso clinico, chiedi scusa allo staff perchè il tuo cervello è impastato come nella marmellata e gli ingranaggi cerebrali si muovono così lenti che non riesci a formulare una diagnosi.
Speri di poter andare a riposare perchè sei sfinito, ma proprio in quel momento ti chiamano in ambulatorio per un'emergenza.
Non hai proprio voglia di andarci.
Le gambe ti fanno male dopo una giornata in sala operatoria e quasi rifiutano di muoversi.
Ma quando vedi quello che ti presentano, ti senti addosso una botta di adrenalina che ti ridona energia e lucidità. E' un giovane di vent'anni.
La fronte è imperlata di sudore freddo. E' tutto sporco di sangue ed ha un telo umido sulla pancia.
L'infermiere che mi ha chiamato non parla molto. Si limita a dirmi che non il paziente non ha pressione e pare collassato; poi toglie il drappo che ricopriva l'addome.
La scena è agghiacciante: praticamente tutto l'intestino tenue è fuoriuscito dalla pancia attraverso una piccola ferita: è rossastro ed edematoso, e si rischia lo strozzamento.


Penso che si tratti di una coltellata e comincio a formulare i miei giudizi (o pregiudizi) mentali... che ovviamente non esprimo.
Bisogna correre. Il paziente non è stabile.
E' opportuno operare d'urgenza.
Durante l'intervento, per fortuna del paziente (ed anche mia!), ci rendiamo conto che non ci sono perforazioni intestinali.
Il problema più grosso è la quantità enorme di contaminanti sulle anse esposte.
Laviamo abbondantemente la cavità peritoneale e poi iniziamo a chiudere l'addome in tempi relativamente brevi.
E' solo a questo punto che trovo la serenità per chiedere qualche particoalre sull'accaduto. Non si è trattato di una coltellata, come pensavo io, ma dell'incornata di una mucca, mentre il poveretto tentava di mungerla.
Il paziente ha avuto un incidente lavorativo e non è coinvolto in alcun atto violento, come invece erroneamente pensavo io.
Mi spiace di aver pensato male di lui, ma almeno abbiamo agito subito e certamente gli abbiamo salvato la vita.

Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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