venerdì 6 gennaio 2017

Il forcipe delle 23

Dopo una giornata a dir poco estenuante, con lista operatoria finita alle 21.30 e giro visite serale dopo una breve cena, avrei volute andare a letto un po’ più presto…anche considerando la nottataccia di ieri.
Ma la maternità è un ribolllire continuo; è superaffollata e sui lettini da parto contemporaneamente ci sono sempre almeno tre donne in secondo stadio.
Si sente urlare per le doglie in tutti gli angoli dell’edificio, dove le donne si sono rifugiate in mancanza di un posto letto.
E’ psicologicamente molto difficile per me andare a dormire in questa situazione perchè già mi immagino che una chiamata notturna sia più che probabile, data una congestione del genere.
Stavo comunque per lasciare l’ospedale e cercare un po’ di recupero fisico, quando Susan mi ha detto: “questa donna è completamente dilatata da un po’; la testa è bassissima ma non riesce a partorire.
Il battito cardiaco fetale adesso non è dei migliori. Forse è meglio che facciamo un forcipe”.
Sono stanco, ma non posso che darle ragione: la testa è troppo bassa per pensare ad un cesareo, e non si può più aspettare.
Il forcipe riesce bene, anche se la donna non collabora e non spinge a dovere.
C’è un sacco di meconio ed il bambino non respira alla nascita. Mi impegno quindi su questo fronte, mentre Susan si occupa della mamma.
All’inizio l’attività respiratoria del neonato è assente ed il battito estremamente bradicardico.


Procedo con il massaggio cardiaco e con l’adrenalina.
Aspiro il meconio ed inizio a ventilare con l’ambu. Per un po’ non ci sono segni di ripresa, ma poi appaiono i primi gasping...dapprima molto diradati, poi sempre più frequenti, fino a diventare un respiro regolare. Il colore della cute, dapprima terreo e mortale, diventa ora sempre più roseo.
La mamma mi ha costantemente guardato mentre rianimavo il piccolo e lei pazientemente subiva la sutura dell’episiotomia da parte di Susan.
Mi ha sorriso riconoscente quando le ho detto: il tuo bimbo adesso è roseo e respira bene. E’ ancora in ossigeno, ma si riprenderà completamente.

Fr Beppe


Nessun commento:


Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


Guarda il video....