martedì 10 gennaio 2017

Caos di tutti i giorni

"Come si chiama il paziente appena arrivato in reparto e deceduto subito dopo?" mi chiede Sr Anna.
"Onestamente ero in sala e non so neppure di cosa tu stia parlando", le ho risposto.
"E' arrivato gravissimo. I parenti lo hanno abbandonato su una barella e se ne sono andati, e lui è morto prima ancora che gli prendessero una vena; non sappiamo neppure come si chiama" ha ripreso la sorella.
"Non so come aiutarti, se non chiedendo agli infermieri in ambulatorio chi abbia da poco ricoverato un maschio adulto in condizioni gravissime".
Non è stato così difficile accertare che il malatoera stato accolto da Clif.
La cartella era ancora in accettazione...ecco perchè non la trovavamo.
Clif ha sia riconosciuto il cadavere che abbinato a lui la cartella clinica.
Sono così venuto a sapere che si trattava di un coma iperglicemico in un individuo che non era al corrente di essere diabetico.
Gli era stata fatta la prima somministrazione di insulina in ambulatorio, con l'idea di continuare in reparto con esami e terapie del caso.
Non so se avremmo potuto fare di meglio!
Sono passati pochi minuti dal ricovero al decesso.


Certo è che lavorare sempre in emergenza, avere una lista operatoria che non finisce mai, affrontare un ambulatorio pesantissimo da mattino a sera, essere chiamato per emergenze praticamente ogni notte, avere due o tre pazienti per letto, oltre a quelli sul materasso per terra, non aiuta certo a far crescere la qualità del nostro servizio in questa lunghissima emergenza sanitaria.

Fr Beppe




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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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