martedì 3 gennaio 2017

Anno Nuovo, problemi vecchi...

Anno nuovo anche qui in Kenya, ma siamo sempre alle prese con le solite emergenze, le solite sconfitte, i soliti disagi. 
Ma anche le solite, infinite, emozioni, il solito straordinario calore umano, le solite bocche larghe con denti bianchissimi che sorridono.
Due giorni fa abbiamo ricoverato Anjeline. Sembrava avesse un problema al cuore, nonostante i suoi 18 anni. 
Purtroppo in Africa questa è l'età in cui i cuori sconquassati sin dall'infanzia arrivano al capolinea. 
Le abbiamo trovato un soffio cardiaco e un’ischemia.
Qualche ora dopo il ricovero però il suo quadro clinico è cambiato: ha cominciato a fare fatica a respirare. Poteva c’entrare con il suo scompenso al cuore, certo, ma tutto faceva pensare ad altro. 
Le ho messo l’eco sulla pancia per capire, ho fatto un'eco e mi sono trovato davanti a un'immagine che non avrei mai immaginato. 
Sulla parte destra aveva una massa tumorale grossa più di dieci centimetri. Ne ho viste tante di queste cose, ma devo ammettere mai così devastanti.


Le abbiamo fatto una trasfusione, lei ha cominciato ad agitarsi e dimenarsi, fino a scivolare giù dal letto. Ci ha lasciati così, davanti ai nostri occhi, mentre cercavamo di tirarla su. Proprio oggi che i suoi genitori erano venuti a trovarla. Le avevano portato qualcosa di buono da mangiare.
Perché un carcinoma epatocellulare a 18 anni?

Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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