sabato 3 dicembre 2016

Il gigante assopito

Ogni sera alle 23, al termine delle lunghe giornate di Chaaria, passo in sala operatoria per spegnere le luci ed assicurarmi che tutto sia in ordine: macchinari spenti, monitor sotto carica, porte e finestre sprangate per tener fuori le mosche, frigorifero per anestetici chiuso: quante volte lo trovo spalancato!
La ricognizione in sala e' parte delle mie routine serali, dopo l'ultimo giro visita dei pazienti, cosi' come e' routine andare a spegnere I generatori ed attivare I pannelli solari.
Quando entro in sala alle 23 e spengo tutto, mi trovo in una atmosfera un po' surreale. Sono completamente solo. Ci vedo a sufficienza perche' dalla grande vetrata smerigliata entrano le luci della maternita'.
Mi circonda un assoluto silenzio:tace il monitor, gli aspiratori sono spenti, anche la radio non canta piu'.
Allora la sala mi pare come un gigante buono, che ci ha aiutato tanto per un numero lunghissimo di ore, ed adesso si prepara ad un po' di meritato riposo...se le emergenze lo consentiranno.
Nel silenzio e nella penombra di questa ultima ora, sovente rivivo le angosce e le vittorie che si sono susseguite a ritmo incalzante proprio in quella grande stanza quadrata.


Quanti pazienti abbiamo operato, quanta gente abbiamo aiutato, quanti problemi abbiamo risolto...quante sconfitte abbiamo sperimentato.
Alle 23 in genere non ne posso piu' ed ho bisogno di alcune ore di sonno che cancellino tutto lo stress e le preoccupazioni del giorno appena concluso. Anche la sala, ora spenta e silenziosa, mi sembra avere lo stesso bisogno, ed e' quindi normale per me chiudere la porta e sussurrare anche a lei un "buona notte" mentre mi avvio verso camera mia sperando di non essere chiamato troppo presto nella notte.

Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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