sabato 5 novembre 2016

Venticinque anni da medico

Oggi ho celebrato le mie “nozze d’argento con la medicina” con il cuore pieno di riconoscenza e con un misto di sensazioni che mi aiutano a ricordare un po’ i vari aspetti di questa splendida professione e missione. Era il 5 novembre 1991, quando qualcuno ha pronunciato la frase fatidica che mi ha dichiarato dottore in medicina e chirurgia. 
Di acqua ne è passata tanta sotto i ponti...tante cose sono cambiate da allora; soprattutto sono cambiato io, e non solo perchè sono più vecchio di 25 anni!
La giornata di oggi è iniziata presto in sala operatoria con una tiroidectomia che ho fatto da solo, con trepidazione ma anche con una certa tranquillità: mi sono sentito giovane ed ancora in grado di imparare in questa infinita formazione permanente che è la medicina. Che bello arrivare alla soglia dei 55 anni e potersi sentire ancora come uno specializzando che vuole e deve imparare tante cose nuove, per servire gli altri sempre meglio e sempre di più!
Celebrare il mio venticinquesimo di medicina con una tiroidectomia andata bene è stato davvero un bell’inizio. Mi ha galvanizzato e mi ha fatto pensare che nei prossimi 25 anni avrò ancora tantissimo di apprendere.
A questo intervento ne è seguito un altro, altrettanto impegnativo: addome acuto da peritonite purulenta, secondaria ad appendicite retrocecale.
Anche questo intervento è andato bene e siamo riusciti a fare l’appendicectomia, senza causare perforazioni intestinali; l’operazione è stata veloce ed in un’ora o poco più avevamo già richiuso la cute...ma il paziente ha avuto problemi di risveglio. Mbaabu ha tentato il tutto e per tutto, ma non è riuscito a svezzarlo dal ventilatore. 



L’operato non riprendeva la respirazione spontanea. Poi si è instaurata un’ipertermia maligna, complicazione rara ma sovente letale dell’anestesia con gas e curaro. La febbre è andata oltre i 42 e non siamo riusciti a controllarla con i farmaci a nostra disposizione. Dopo un intervento perfettamente riuscito, non abbiamo però salvato la vita del paziente che ci è morto in sala dopo 3 ore di estenuante rianimazione.
Eravamo tutti stremati e depressi.
Inoltre bisognava anche dar la notizia ai parenti, che erano fuori ad attendere notizie dalla sala.
Mi ha aiutato Fr Giancarlo perchè proprio io non ce la facevo a dar loro la notizia.
Il mio entusiasmo per la tiroidectomia, ed anche per questo intervento che avevo fatto senza problemi, è quindi svanito completamente dopo poco più di due ore, lasciandomi nel cuore un senso di vuoto e di smarrimento.
Ma pure questo mi ha ricordato un altro grande aspetto di questi 25 anni di medicina pratica: quante sconfitte, quante volte in cui ha vinto la morte, lasciandomi devastato; quanto dolore condiviso ed anche provato insieme ai miei malati ed ai loro familiari!
Sì, 25 anni di traguardi raggiunti, di nuove tecniche apprese e messe in pratica, di prestazioni cliniche sempre più elevate ed avanzate; ma anche 25 anni di sconfitte e di dolore vero e profondo, soprattutto di fronte alla morte.
E poi tanto lavoro: oggi è stato uno di quei sabati terribili in cui si esce di sala operatoria che son quasi le 20. Avresti voluto staccare un po’ la spina, ma non ci sei riuscito perchè i bisogni sono sempre tanti.
Pure questo aspetto ha avuto il suo senso nella celebrazione feriale del mio “silver jubilee” come medico.
Se penso al tempo trascorso a Chaaria, ma anche a quello precedente in Italia, è stato sempre caratterizzato da tantissimo lavoro, da innumerevoli sacrifici, da tanta dedizione al paziente e da una sincera donazione personale.
Fatica, impegno e sacrificio...elementi davvero importanti nella “missione” di un medico che è sempre chiamato a vivere la propria professione come un servizio all’umanità sofferente.
Ora è ormai giunta la sera. Le luci in sala operatoria sono al momento spente. La sala parto è vuota. I reparti sono tutti pienissimi, ma i malati sono tranquilli.
Provo a fare un bilancio di questi 25 anni, e non trovo altro da fare che ringraziare il Signore per tutto quello che mi ha donato in tale lungo periodo di continua crescita professionale e di innumerevoli soddisfazioni; quello che sono diventato come medico e come chirurgo (qualcuno dice che sono un medico a 360 gradi) è certamente dono Suo, dono accolto con riconoscenza e fatto fruttificare con un sincero e quotidiano impegno personale.
La giornata di oggi (vorticosa, esilarante per molti aspetti, entusiasmante per i nuovi traguardi che ancora mi si presentano, ed allo stesso tempo triste e depressa per gli eventi di morte che l’hanno caratterizzata) è per me un’occasione grande di rendimento di grazie.
Grazie al Signore per il dono della vita e della salute, che posso mettere a disposizione degli altri.
Grazie ai superiori della congregazione che hanno creduto in me non solo come Fratello del Cottolengo, ma anche come medico.
Grazie a tutti i volontari che hanno visto in me dei talenti che neppure sapevo di avere, e che hanno voluto investire in me e credere nelle mie potenzialità umane e professionali. Sono stati loro a rendermi quel medico tuttofare che sono diventato pian piano nel corso degli anni.
Oggi è stato un giorno assolutamente feriale e lavorativo esternamente, ma è anche stato un giorno di gioia semplice e profonda nel segreto del mio cuore.

Fr Beppe


2 commenti:

Unknown ha detto...

Auguri e un abbraccio carissimo Beppe, medico, amico.
Nei prossimi 25 anni di "carriera" spero mi insegnerai il segreto della tua forza e perseveranza, oltre ovviamente
alle tue competenze.
Un abbraccio
Marco

Anonimo ha detto...

Buon anniversario. E complimenti per il traguardo... c'è ancora tanta passione ed energia nei racconti del tuo mestiere :) Lidia


Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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