venerdì 30 settembre 2016

I ritmi agricoli di Chaaria

Fine settembre-inizio ottobre è il tempo della preparazione nelle nostre campagne.
Si ara la terra e si attende con speranza l'inizio delle grandi piogge, che dovrebbe essere più o meno a metà ottobre.
Una volta la data d'inizio della stagione delle piogge era precisa come un orologio ed i contadini sapevano esattamente che il 15 ottobre sarebbe piovuto. Per questo seminavano anche senza attendere le prime precipitazioni.
Oggi siamo molto meno sicuri del tempo atmosferico e dei suoi ritmi: quest'anno per esempio da noi abbiamo avuto un freddo mai registrato prima, da luglio (il mese tradizionalmente più freddo), fino a metà settembre (mese solitamente caldissimo).
I contadini quindi non seminano fino a quando la stagione delle piogge effettivamente inizia (a volte con ritardi anche di 3 settimane).
Nella foto vedete la nostra shamba: il nostro Kiambati sta arando con l'intramontabile trattore di fr Lodovico.
Pure noi comunque aspetteremo a seminare fino a quando vedremo l'inizio delle precipitazioni, per evitare che le sementi secchino nella terra in caso di siccità.


La fattoria, con le sue coltivazioni che ci danno i tre quarti del cibo che consumiamo noi e tutti i nostri pazienti e buoni figli, con le mucche che ci donano latte e carne da mangiare, con le galline, le anatre ed i tacchini che ci assicurano uova e carne bianca, con i maiali che divorano tutti gli avanzi alimentari dell'ospedale e del centro, fa parte integnante della vita di Chaaria ed è anche una bella esperienza di lavoro occupazionale per un certo numero di buoni figli meno gravi.
Noi tutti rispettiamo e teniamo in alta considerazione il lavoro di chi si prende cura della nostra shamba.

Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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