lunedì 22 agosto 2016

Il bimbo idrocefalo di Laisamis

Questo bambino ha due anni di età ed è idrocefalo dalla nascita.
Grazie ad alcuni benefattori, subito dopo la nascita, al piccolo era stata inserita una derivazione ventricolo peritoneale per il drenaggio dell'idrocefalo.
Avrebbe dovuto seguire un calendario di controlli che però non sono mai stati eseguiti a causa della povertà in cui versa la sua famiglia ed anche a motivo della condizione illetterata dei suoi genitori che non hanno capito la gravità della situazione.
Il piccolo è stato ora preso in carico dall'Associazione "Amici di Marsabit" che conosciamo da tempo e con cui collaboriamo.
Sono stati essi a portare il bambino a Chaaria, e si prenderanno cura di tutte le spese sanitarie: abbiamo eseguito una TAC cerebrale che ha confermato il blocco della valvola ed il suo malfunzionamento.
Domani dovremmo ricevere la nuova valvola che già abbiamo ordinato dalla ditta fornitrice di Nairobi.
Se tutto va bene, dovremmo operare il piccolo giovedì, grazie alla disponibilità del Dr Nyaga che verrà a Chaaria per l'intervento.
Credo che entro la metà della settimana prossima il piccolo, ora a Chaaria con la nonna che non capisce una singola parola di Kiswahili (parlano infatti soltanto il Samburu), potrà essere dimesso e tornare a casa con i suoi genitori e con i molti fratellini e sorelline.


Gli amici italiani dell'Associazione sono già tornati a casa, ma noi siamo in contatto con Father Thomas, parroco di Laisamis, che si incaricherà di venire a prendere il nostro piccolo paziente e riportarlo sano e salvo nel suo villaggio che dista quasi 300 chilometri da Chaaria.
Sono molto contento di questa collaborazione che ci aiuta a portare i nostri servizi più profondamente nel cuore dei villaggi più poveri del Marsabit.

Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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