giovedì 28 luglio 2016

Epatite A

L’epatite A è abbastanza frequente a Chaaria.
Sappiamo che di solito si tratta di una forma molto acuta con ittero veramente grave, febbre e diarrea. 
Altra cosa che conosciamo dai libri è che solitamente non diventa mai cronica, per cui in genere la temiamo di meno della B e della C. 
Quello però che spesso non ricordiamo è che l’epatite A può essere molto grave e che può portare ad insufficienza epatica acuta e morte.
A differenza delle epatiti B e C, la trasmissione non avviene attraverso il sangue ed i contatti sessuali; si tratta invece di una malattia a trasmissione oro-fecale, normalmente trasmessa attraverso acqua e cibi contaminati.
Anche in questi giorni ci siamo trovati di fronte ad una giovane vita stroncata dal virus dell’epatite A (HAV).
Avevamo fatto diagnosi una settimana fa: inizialmente il giovane sembrava migliorare e lo abbiamo dimesso. L’ittero inizialmente si è ridotto drasticamente, ma mercoledì scorso le condizioni sono nuovamente peggiorate con incremento dell’ittero e con febbre.
Abbiamo quindi deciso di ricoverare nuovamente il nostro paziente ed abbiamo instaurato una terapia reidratante con glucosata, oltre a dargli della colestiramina per cercare di ridurre la sua bilirubina.
Nella notte di giovedì però il paziente era molto agitato e fuori di sè.


Abbiamo quindi aggiunto una terapia sedativa con prometazina, che avrebbe anche aiutato il paziente per un vomito incoercibile e non responsivo al plasil.
Poi il giovane è passato da uno stato di agitazione psico-motoria ad uno di stupore e precoma.
Abbiamo continuato con le glucosate.
Stamattina gli abbiamo messo il catetere per controllare la diuresi: aveva 200cc di urina nella sacca alle 9 e poi non ha più orinato; alle 12 gli abbiamo praticato del lasix endovena, temendo che pure i reni si stessero fermando (Insufficienza Renale Acuta?)
Temevamo anche che si trattasse di una encefalopatia epatica.
Saturava 90% in aria ambiente, e gli abbiamo messo dell’ossigeno.
Abbiamo anche inserito un sondino nasogastrico per alimentarlo con del latte e somministrargli del flagyl per os, al fine di ridurre la replicazione batterica intestinale.
Nella disperazione volevamo anche somministrargli degli steroidi, come si legge in molti manuali: non eravamo in grado di dire se la condizione del paziente fosse dovuta ad un'epatite acuta fulminante, all'iperbilirubinemia o alla sedazione.
Poi, nonostante tutti i nostri sforzi, quel giovane ci ha lasciati ed è morto davanti ai nostri occhi sconvolti: un'altra dura lezione da mandare giù, una brutta sconfitta da incassare
un sacco di domande senza risposta, i sensi di colpa, la realtà da accettare.
Ed un'altra volta un'Africa che ti sostiene e che ti insegna che la vita sta nel volere di Dio.
Incredibile per noi è stato il fatto che una sua cugina, ci ha sostenuti ed incoraggiati in un momento di sconforto oggi pomeriggio, alla notizia della sua morte.
A volte invidiamo questa loro forza e questo immenso abbandono nelle mani del Signore.
Sicuramente la vita per loro qui in Africa è più dura e crudele di quella in cui siamo stati cresciuti noi, ma nonostante ciò sanno reagire con una forza infinita.
Ringraziamo Dio di avere delle persone che ci vogliono bene, e ringraziamo perchè ce lo dimostrano nel momento del bisogno.
Il paziente era davvero giovane, studente delle superiori, un ragazzo sano, bello, forte.
La madre aveva già perso il primogenito proprio alla sua età in seguito ad un avvelenamento.
Essere medici certi giorni è molto difficile.
La responsabilità sulla vita umana è un macigno enorme.

Fr Beppe


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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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