giovedì 20 marzo 2008

Stella

Carissimi lettori di questo blog, molti di voi non mi conoscono personalmente ed alcuni non li ho mai neppure sentiti per telefono a via mail, ma vorrei approfittare di questa occasione per aggiungere solo poche parole. D'altra parte le parole che ogni giorno riempiono le pagine di questo blog, sono già così intense... Io non sono brava a scrivere come Fr Beppe, ma per me è un'onore essere una piccola appendice del suo calamaio, anche grazie alla tecnologia che consente di fare tutto ciò. Ho ricevuto molte parole di incoraggiamento durante le varie fasi di realizzazione di questo lavoro che devo dire, mi hanno aiutato tanto...quindi immagino quanto possa aiutare Fr Beppe e Fr Maurizio, il vedere quante persone quì in Italia gli sono costantemente vicine anche solo leggendo i loro pensieri e condividendo le loro storie. Ci tengo a ringraziare personalmente tutti coloro che sfogliano queste pagine e che lasciano un segno del loro passaggio, perchè è un modo per stare vicini. Io ho vissuto Chaaria solo per un brevissimo periodo e sento di non aver potuto dare ciò che veramente avrei voluto, ma come ho già scritto una volta, mai, nemmeno un solo giorno, non ho pensato a quelle persone, a quei posti, a quei sorrisi. Ogni volta che prendo l'autobus ed il treno, il mattino mentre tutti vanno al lavoro, guardo ed osservo i volti delle persone e vedo facce di cera, ognuno con sè stesso e il proprio ipod all'orecchio per non sentire neppure le voci degli altri, molti di loro vestiti firmati dalla testa ai piedi. Poi penso ai volti della gente di Chaaria, persone in sala d'attesa da ore, che hanno camminato per giorni per raggiungere l'ospedale e che non hanno niente, spesso neppure le scarpe ai piedi, eppure con un sorriso pieno e vero, che non mai più visto altrove. Allora ogni volta penso che noi siamo fortunati, tanto fortunati. Ma ciò che abbiamo, non ci basta mai.

Lo scritto che segue, mi è molto caro, perchè lo lessi proprio il giorno prima di andare a Chaaria ed infatti riporta la data di allora...e come allora la Pasqua era imminente e Fr Beppe ci faceva gli auguri. Stella, una bimba a me sconosciuta, entrò nel mio cuore all'inizio del mio viaggio e la cercai in ogni volto di bimba che vidi laggiù. Pensai che se fossi andata solo poche settimane prima l'avrei conosciuta. E compresi che ci sono tante Stella, Kawira, Elena e Lina, con lo stesso stupendo sorriso e che ognuna di loro merita il dono dell'amore. Per questo Fr Beppe è là, io credo. E per questo io lo ringrazio di esistere.

Lascio un sorriso per tutti ed i miei più sinceri auguri di Buona Pasqua, e concludo con una piccolissima poesia di Emily Dickinson che io amo tanto.


Nadia


Se riuscirò ad impedire a un cuore di spezzarsi,
io non avrò vissuto invano.
Se riuscirò ad alleviare il dolore di una vita, o alleviare una pena,
o aiutare un pettirosso caduto a ritrovare il suo nido,
io non avrò vissuto invano.

If I can stop one heart from breaking,
I shall not live in vain.
If I can ease one life the aching, or cool one pain, or help one fainting robin into his nest again,
I shall not live in vain.

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Carissimi amici,
mi trovo in un convento francescano per alcuni giorni di preghiera e riflessione, e colgo questa occasione per farvi giungere i miei più cari auguri di buona Pasqua del Signore.
Per noi a Chaaria è stato un periodo intenso, colmo di belle cose ed anche di qualche problema, come d'altra parte capita in tutte le situazioni della vita. La costruzione della nuova ala dell’ospedale sta procedendo assai velocemente, e se tutto procede come previsto, potrebbe essere in uso per la fine dell’anno. Si tratta di due nuovi cameroni, e di due nuovi isolamenti, che ci permetteranno di liberare le stanze che attualmente l’ospedale sta occupando nel settore degli handicappati. Questa nuova costruzione ci permetterà da una parte di distanziare un po’ lo spazio tra un letto e l’altro, riducendo il rischio di infezioni crociate tra i pazienti (ancora oggi spesso dobbiamo mettere più di 1 malato per letto), e dall’altra di creare nuovi spazi per gli handicappati, che potranno così ricevere servizi nuovi, e forse anche essere aumentati in numero. Di tutto questo ringraziamo la Provvidenza e la generosità dei Superiori e di tutti i benefattori, che ci aiutano con tante offerte.
L’altra cosa per cui sento di dover dire grazie al Signore è stata la presenza dei volontari: abbiamo avuto molte presenze significative, dall'inizio di Gennaio. Grazie ai volontari sono nate cose nuove, che penso davvero buone per il futuro di Chaaria: prima di tutto siamo cresciuti in po' nelle nostre possibilità chirurgiche, e ci stiamo ora avventurando (sia pure con qualche innegabile timore) nei Tagli Cesarei, ed in altre pratiche chirurgiche, prima neppure tentate a Chaaria.
Molti sono stati gli infermieri italiani che hanno decisamente favorito una maggiore attenzione alla cura del paziente, negli aspetti essenziali dell'igiene, e dell'assistenza di base.
Desidero segnalare la positiva presenza di volontari che si sono impegnati nelle attività di manutenzione della casa: si tratta di persone buone, dedite a professioni non di tipo sanitario, che con generosità hanno dato il meglio di se stessi nel riverniciare o rinnovare alcune parti del nostro centro, che necessita di continua manutenzione.
Un particolare ringraziamento va certamente all'amico Antonio, ed ai Superiori della Piccola Casa che ci hanno permesso di acquisire una connessione satellitare ad internet, con la possibilità di scrivere e ricevere email giornalmente.
Tra le note più dolorose volevo semplicemente ricordare la morte di Stella, che per me è stata davvero devastante. Avevo conosciuto Stella nel 1999, come una delle tante bambine, perennemente anemiche a causa della malaria e della splenomegalia tropicale. Essa veniva ricoverata spesso, e veniva accompagnata da uno zio anziano, che più di una volta ci ha dato dei problemi. Non ricordo come avvenne, ma so che ad un certo punto Stella cominciò a volere la flebo o la trasfusione soltanto da me, poi cominciò a chiedermi di poter mangiare con me... e poi ha cominciato a chiamarmi papà, senza che nessuno glielo avesse insegnato. Stella mi ha voluto tanto bene, e ne ha voluto anche agli altri Fratelli, che sempre mi hanno aiutato a farle sentire l’affetto di quella famiglia che Stella aveva perso da tempo. Infatti Stella era un’orfana. La sua mamma morì per cause a noi ignote quando la piccola non aveva più di 2 anni. A quei tempi i genitori di Stella risiedevano a Marsabit, nel Nord del Kenya: il padre era un Meru, mentre la mamma era una Somala. Quando si ritrovò vedovo il papà di Stella ritornò qui in Meru, nel villaggio di Giaki, a circa 6 km dal nostro ospedale. Egli si risposò presto ed ebbe altri 2 figli dalla seconda moglie. Purtroppo entrambi questi bambini nati dal secondo matrimonio morirono di anemia e malaria nel nostro ospedale; più tardi morì anche il papà, ma non so in quale ospedale. Da ultima fu la seconda moglie e madre di Stella a soccombere: quando essa venne ricoverata a Chaaria decisi di testarla per HIV ed essa risultò positiva. Fu quella per me la chiave di lettura di tutto quel disastro che aveva spazzato via per ben 2 volte la famiglia di Stella. Era stato l’AIDS. In un successivo ricovero, decisi di testare anche la mia piccola figlia adottiva, che naturalmente risultò positiva. Ecco che tutto diventava tristemente più chiaro. Stella era sempre malata e non cresceva, perché era immunosoppressa dalla nascita: sicuramente essa aveva contratto la malattia dalla madre durante il tempo di gestazione.
La vita con lei è stata a volte bellissima ed a volte terribile: è stata bellissima perché Stella era una bimba affettuosissima, e per me in particolare è stata una esperienza molto gratificante quella di essere chiamato papà. Per me è stata la prima esperienza di “sentirmi davvero padre”, responsabile della crescita e dell’educazione di qualcuno. E’ stato stupendo averla con noi in comunità per tempi anche assai lunghi, andare fuori con lei, farle scoprire il mondo: ricordo il suo stupore meravigliato, quando per la prima volte essa vide atterrare e decollare un aereo, o quando per la prima volta vide una giraffa o un elefante al parco del Samburu. Spesso però la vita con lei è stata anche dura, soprattutto quando essa è diventata testona; quando imparò a sfruttare le occasioni per fare tutto quello che voleva, per disobbedire sempre, prendendo a scudo un volontario appena arrivato che le concedeva sempre tutto, senza considerare che noi le avevamo già detto di no, a scopo educativo. E’ stata dura quando abbiamo tentato di inserirla nuovamente nella famiglia d’origine, e lo zio ci diceva che Stella rifiutava i poveri cibi che essi potevano offrirle perché voleva solo patatine fritte, carne e bibite. Ancora più dura è stata l’esperienza di una bimba che non capiva cosa la sua malattia fosse, e che quindi rifiutava di prendere le medicine. Sicuramente è stata volontà di Dio che essa morisse così piccola, ma chissà… se avesse preso gli antiretrovirali, forse sarebbe ancora con noi.
Stella è stata per anni in una classe di asilo, e non riusciva a passare la prova di ammissione alla prima elementare. La cosa mi ha sempre stupito, perché lei era molto vispa ed intelligente. Forse però quello che le mancava era la capacità di applicarsi nello studio. A lei piaceva troppo giocare: il suo gioco preferito erano i bimbi piccoli. Stella giocava a fare la mamma tutte le volte che veniva ricoverata in ospedale e stava un po’ meglio. A lei piaceva prendersi uno dei nostri orfanelli e metterselo sulla schiena, avvolto nel telo colorato, come fanno le madri di qui. Si divertiva a cantare ninna nanna agli orfani quando piangevano nella culla. Andava a dormire nel letto di una donna che aveva appena partorito, chiedendole di poter tenere in braccio il neonato per qualche momento.
Un’altra ragione dell’insuccesso scolastico è comunque il fatto che era continuamente debole, e spesso era assente, per lunghi ricoveri in ospedale.
Durissimo è stato per me il giorno in cui Stella è morta: era un giorno pienissimo, con tantissimi pazienti, tutti gravi. Verso mezzogiorno ho visto la mia piccolina sdraiata sulla panca che c’è nel corridoio davanti alla sala dentistica. Ho pensato ad uno degli innumerevoli ricoveri per anemia, in cui Stella sarebbe stata ricuperata in fretta con chinino e/o trasfusione. Avevo fretta e non mi potevo fermare. Le ho detto semplicemente: ”Adesso facciamo gli esami, e poi verrò a vederti quando sarai a letto”. Gli esami parlavano di anemia grave (emoglobina a 4 grammi) e alta densità di malaria: gli infermieri mi avvisarono, ed io risposi di trasfonderla con sangue dall’emoteca. Continuai a visitare per un po’ e poi andai a mangiare un boccone, dimenticandomi completamente di passare per la camera dove Stella era stata ricoverata. Subito dopo pranzo ci fu un’emergenza, a motivo di un taglio cesareo urgente. Mentre preparavamo l’operazione, gli infermieri vennero a dirmi che Stella non voleva lasciarsi mettere la cannula in vena se non da me. Io risposi che sarei andato dopo l’operazione: Stella era stata tante volte con 4 di emoglobina, e lo aveva tollerato bene anche quando per nostra sfortuna non avevamo sangue del suo gruppo. L’operazione si prolungò alquanto a causa di complicazioni impreviste. Era ormai sera tardi, e Stella aveva continuato a chiamarmi dalla stanza senza che io potessi sentirla (mi è stato raccontato dopo dalle infermiere). Lei continuava a dire che voleva il suo papà e le infermiere le dicevano che il papà sarebbe venuto presto, subito dopo l’operazione. Purtroppo Stella non ha avuto la forza di aspettarmi ed è andata in Paradiso prima che terminasse l’intervento. E’ stata una mazzata incredibile per me quando, all’uscita dalla sala, Fr Maurizio mi ha chiamato in “room 17” e mi ha dato la notizia. Ho pianto disperatamente, ed ancora oggi mi chiedo come ho fatto a dimenticarmi di passare per la stanza di degenza, quando sono andato e quando sono ritornato da pranzo. Quanti sensi di colpa, quanti “…se avessi saputo… se almeno le avessi detto… se fossi stato più attento”. Sono dei sensi di colpa che non passano facilmente.
Dopo aver smesso di piangere, ho voluto vestirla insieme a Fr Maurizio: le abbiamo messo il vestitino che avete visto nella foto-ricordino che vi ho inviato tramite Sr Anna Derossi. La abbiamo portata in obitorio dopo aver pregato per qualche momento, ed è rimasta con noi per 3 giorni. Avrei voluto seppellirla qui al Centro, ma poi ho deciso di seguire la volontà dello zio che l’ha voluta sepolta nel cortile della sua casetta di legno. L’abbiamo portata con la nostra macchina fino a casa, nonostante il sentiero davvero impervio (quel sentiero che tante volte Stella e lo zio hanno percorso a piedi o in bicicletta per raggiungere l’ospedale). Il Funerale è stato semplice, con pochissima gente, dalle casette e capanne vicine. Stella è stata sepolta nella terra, anche se, ne sono convinto, è ormai in Paradiso a raccogliere il premio di una vita in cui lei ha visto solo morti e malattia.
Ricordiamola così: è stata amata da tutti voi; è diventata la figlia di tutti noi; è stata aiutata dalle offerte di persone che non l’hanno mai vista. Adesso è in Paradiso che prega per noi.
Vi saluto con un pensiero che mi aveva donato Erika, pochi giorni prima della morte di Stella: Erika mi donò un cartoncino intitolato: STELLA MARINA. E’ la storiella di un bimbo che al mattino andava sulla spiaggia a ributtare in acqua le Stelle Marine che erano state portate in secca dalle onde. Quando qualcuno lo vide, gli disse che tale lavoro era completamente inutile perché egli non sarebbe mai riuscito a ributtare in mare tutte le migliaia di stelle che si trovavano sul bagnasciuga. Il bambino con calma guardò la stella che ancora aveva in mano, la buttò in acqua, e poi rispose: “per questa stella sicuramente non è stato inutile!”. Adesso ho messo il cartoncino vicino alla foto di Stella: sono convinto che tutto il bene che le abbiamo voluto, certo non è stato inutile.
Ancora Buona Pasqua a tutti. Fr Beppe Gaido 7 aprile 2004.

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Chaaria è un sogno da realizzare giorno per giorno.

Un luogo in cui vorrei che tutti i poveri e gli ammalati venissero accolti e curati.

Vorrei poter fare di più per questa gente, che non ha nulla e soffre per malattie facilmente curabili, se solo ci fossero i mezzi.

Vorrei smetterla di dire “vai altrove, perché non possiamo curarti”.

Anche perché andare altrove, qui, vuol dire aggiungere altra fatica, altro sudore, altro dolore, per uomini, donne e bambini che hanno già camminato per giorni interi.

E poi, andare dove?

Gli ospedali pubblici hanno poche medicine, quelli privati sono troppo costosi.

Ecco perché penso, ostinatamente, che il nostro ospedale sia un segno di speranza per questa gente. Non ci sarà tutto, ma facciamo il possibile. Anzi, l’impossibile.

Quello che mi muove, che ci muove, è la carità verso l’altro, verso tutti. Nessuno escluso.

Gesù ci ha detto di essere presenti nel più piccolo e nel più diseredato.

Questo è quello che facciamo, ogni giorno.


Fratel Beppe Gaido


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